Non mi interessa minimamente se sei bianco o nero, scriveva il poeta Catullo a Cesare e figurarsi quanto può interessare se Trump sia biondo naturale o mechato, se è solo un affarista e se applica gli stilemi dell’arrembaggio mercantile alla politica, che è comunque l’arte del possibile.
Insomma, non pare, quello di queste ore, il tempo di fare gli opinionisti con i volteggi di rito per l’ audience.
Venerdi 28 febbraio 2025, il presidente degli Stati Uniti nella solennità dello Studio Ovale ha detto al mondo che lontano da Washington, ma non altrettanto da noi, si starebbe giocando con “la terza guerra mondiale”. E’ un pensiero, un’opinione – e allora poteva tenersela per sé – o è un fatto ed il fatto, proprio perché tale, è vero, insegnò Giovambattista Vico.
Stiamo vivendo la possibile vigilia della fine del mondo? Non solo dalla Casa Bianca ma anche da San Pietro – e al momento dal Gemelli – lo paventano.
E’ vero che la gente ha sempre ignorato le catastrofi che stavano per accadere. Tanto più dopo lunghi periodi di pace, come gli ottant’anni in cui ci siamo rassicurati con le canzoni di Joan Baez, la Guerra di Piero e il ragazzo che amava i Beatles e i Rolling Stones.
Thomas Mann, però, si autoaccusava di incoscienza allo scoppio dell’ultimo conflitto bellico in Europa, scrivendo in una lettera: “ E’ ridicolo che non si credesse assolutamente più alla guerra, solo perché nati quattro anni dopo un trattato di pace”. Il “grande spettacolo tv”, andato in onda l’ultimo venerdi dello scorso mese, è fiction o è fatto e, quindi, verità?
I morti da una parte e dall’altra ai confini con l’Europa e di là dal Mediterraneo, il mare nostrum su cui poggia l’Italia, sono veri, sono tanti, troppi e non si possono né usare linguaggi tranquillizzanti, né seguire, senza pensarci su, due governanti andati a rapporto alla Casa Bianca prima di convocare nella Londra della Brexit la Presidente della Commissione europea ed un po’ di politici del vecchio continente. I cui abitanti non possono essere attirati dall’idea di continuare a pagare con le tasse altre armi e, addirittura, mandare i figli in missioni militari che potrebbero partire con un nome e trasformarsi in altro.
Se la politica è l’arte di acquisire il potere, di mantenerlo e accrescerlo e se Trump ha detto il vero, la diplomazia senza se e senza ma e il pieno tacitare le armi non possono non essere anche nell’interesse dei politici. Di tutti, perché col perdurare di azioni che allontanano la pace si voterebbero, essi per primi, alla perdita di ciò che perseguono.
Ideologizzare il futuro prossimo con iniziative di volontariato armi in pugno è rischioso. Perché, comunque e sempre, la forza ha avuto ragione sui buoni sentimenti e sulle idee. E lo si chiami pure cinismo, questo.
Secoli fa, i grandi pensatori erano filosofi e scienziati insieme, da Cartesio a Leibniz, poi il pensiero umanistico che regolava ogni aspetto della vita ha lasciato via libera ed autonomia alla scienza che ha creato i suoi prodotti senza attribuirgliene il colore. Né bianco, né nero, come il Cesare di Catullo.
Quando fu sperimentata a Chicago la prima pila atomica, i collaboratori di Enrico Fermi brindarono con vino Chianti. In silenzio, poi, ognuno mise la firma sulla paglia del fiasco e si tratta della “sola testimonianza documentaria della riunione” ha raccontato la signora Fermi. Il marito, a chi gli aveva chiesto come fossero i neutroni rispose: “Gente docile, cortese”. Lei seppe di Hiroshima dalla moglie di uno studioso tedesco: “La nostra roba è stata gettata sul Giappone”.
Ha scritto Carlo Cassola “Nell’era atomica, quando l’intelligenza mette in mano ai governanti giocattoli micidiali e pone all’ordine del giorno problemi giganteschi come l’aumento della popolazione e l’esaurimento delle risorse, è necessario che il potere smetta di essere stupido”.
Di là e anche di qua dall’Oceano.
Foto di Andrea Lombani