Donald Trump ha sotterrato l’ascia di guerra. Poco prima di strapazzare Zelensky, venerdì scorso “il Presidente biondo che fa tremare il mondo” (a dirla con gli spot del Crodino) nello studio ovale ha firmato un Executive Order con cui ha sospeso le operazioni informatiche offensive contro la Russia.
Le attività di hacking condotte dal Cyber Command sono state bloccate nel quadro di una serie di iniziative che l’impavido ospite della Casa Bianca ritiene utili per trovare accordi di pace tra Mosca e Kiev.
Il provvedimento sarebbe stato controfirmato dal Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Pete Hegseth, ma non sembra includere lo stop alle operazioni di spionaggio condotte dalla National Security Agency.
Verbalmente sarebbero state impartite disposizioni anche alla Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA), potentissima struttura statunitense cui la nostra Agenzia Cyber vorrebbe tanto assomigliare.
La cosa più sconvolgente è che la Russia improvvisamente non costituirebbe più una minaccia per gli Stati Uniti, a dispetto delle scorrerie che le bande di criminali tecnologici di varia natura (dai professionisti fino ai giovanissimi birbaccioni come NoName057) stanno attuando in giro per il mondo.
La santificazione degli hacker russi è davvero fuori luogo. I delinquenti digitali al servizio di Putin non sono quei quattro giovani imbecilli che con la fionda rompono virtualmente i vetri dei lampioni come sta accadendo in Italia, unico Paese che ancora trema al pensiero di “attacchi” DDOS che farebbero sorridere chiunque. La gentaglia reclutata dal Cremlino è ben diversa da chi – ancora in braghe corte – si diverte a rendere irraggiungibile il sito del nostro Ministero della Difesa che non crea nessun disagio alla collettività e infastidisce solo quella dozzina di appassionati di divise o carrarmati che lo vanno casualmente a visitare.
Putin ha a disposizione mercenari informatici capaci davvero di tutto, pronti ad interrompere l’erogazione dei servizi essenziali come energia, comunicazioni, trasporti, sanità e finanza. Altro che bloccare per mezz’ora o rallentare la connessione a web che altro non sono che vetrine di ridotto interesse per la comunità.
Qualche giorno fa, in un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite in tema di cybersecurity ha fatto strabuzzare gli occhi l’intervento di Liesyl Franz del Dipartimento di Stato USA che nel descrivere lo scenario delle minacce tecnologiche ha indicato solo Cina e Iran, dimenticando di citare la Russia.
Le aggressioni ransomware, quelle che portano alla cifratura fraudolenta del patrimonio informativo di imprese ed enti pubblici, sono per la quasi totalità di matrice russa. Ai feroci banditi al servizio di Zar Vlad si devono i tanti collassi hi-tech di industrie, banche, aeroporti, ospedali e così a seguire in un impietoso elenco che ricorda i cimiteri monumentali di qualche grande guerra di un tempo.
Se gli Stati Uniti abbassano la guardia, forse è la volta buona che cala la pressione della minaccia cibernetica dalle nostre parti, dove non abbiamo bisogno del nuovo negazionismo di Trump per restare serenamente immobili dinanzi a certi pericoli.
Abbiamo capito che basta distribuire generosi contratti a gente inesperta e conferire incarichi roboanti a personaggi fuori luogo per mettere di buon umore i potenziali aggressori. Il problema è sapere cosa può succedere quando gli hacker smetteranno di ridere…