Avanti, semaforo verde all’incrocio, ma il giallo sta per scattare. A destra verso la pace, guida Trump con a bordo Zelensky, ma il GPS tace. A sinistra, tra un zig zag e l’altro, Von der Leyen chiede un pieno di 800 miliardi per il riarmo. Dell’Europa? Forse un pieno non basta e, poi, chi guida? Degli eserciti nazionali o cos’altro? Magari per il caso che la guerra ai confini non cessi presto?
Fino a ieri, in molti marciavano convinti che le bocche dei cannoni servissero per metterci i fiori. Cosi era scritto sui cartelli. Poi, saltano i millenni in un giorno solo. Tutto insieme e, come insegnavano gli antichi: pace sì, ma con le armi ben in vista, si vis pacem, para bellum. Ce n’eravamo scordati ed ora, al dunque, i meccanismi della storia scattano e l’uomo si mostra il Giano che è. Indole ragionevole ma anche bestiale. Sembra buono sulla via della pace, ma forse solo perché al momento non gli serve fare la guerra.
All’inizio, ci fu l’assassino agricoltore Caino e il mite pastore Abele; poi il fratricida Romolo e l’espropriato Remo. Questione di confini e di potere. Perenne vocazione al dominio sull’altro, ma anche alla ritirata, se conviene.
Accantonati i massimalismi, parrebbe ora riaffacciarsi la cautela per il futuro, perché l’oggi non si ripeta domani negli incroci della storia, dove, purtroppo, la via dello ieri è sempre poco illuminata.
Quanto sta avvenendo in questa vecchia Europa, con la scelta degli ucraini verso la pace e il contemporaneo volersi attrezzare per la guerra da parte delle nazioni vicine, pare momento di consapevolezza della natura dell’umano agire. La lettura rovesciata della vecchia massima del generale e analista prussiano, von Clausewitz. “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”.
Washington, Kiev e Bruxelles sono, infatti, consapevoli che gli Stati, se vogliono rimanere tali, non possono rinunciare alle loro strutture militari e una politica accorta non può dimenticare che la guerra rimane sempre e comunque opzione connaturata all’uomo: homo homini lupus.
Naturale, col sentimento, scandalizzarsi e respingere l’eventualità bellica, ma doveroso esservi preparati.
Dovere anche morale, del quale era profondamente convinto Alcide De Gasperi, statista e cristiano tale che papa Francesco, in questi giorni, ne ha disposto il processo di beatificazione. Ha scritto la figlia Maria Romana – la quale ne fu anche segretaria – che per il padre: “da un esercito europeo, scaturito da una concezione politica della comunità, poteva sorgere l’Europa” e il 27 maggio 1952 firmò il Trattato per la Comunità Europea di Difesa (C.E.D.), “l’immissione sotto un comune controllo dell’uso delle forze militari”, fondamento dell’unità politica.
“Si era trovato – testimonia Maria Romana De Gasperi – il metodo nuovo per risolvere i problemi internazionali. Era la pace garantita, la forza sicura per farsi rispettare”.
Come la C.E.D. finì si sa e quelle parole, rilette oggi, appaiono profetiche sul come sarebbero andate le relazioni all’interno e all’esterno dell’U.E. De Gasperi era convinto che la “difesa comune” fosse il passaggio necessario per giungere davvero alla unione politica. Ma “la Francia – scrisse a Fanfani il 14 agosto 1954, cinque giorni prima di morire – tenta di creare un provvisorio, per essere libera domani di mutare fronte: essa vuole salvare ora il sistema atlantico, ma colla riserva domani di poterlo abbandonare”. E, al telefono col presidente del consiglio Scelba, fu sentito gridare: “Meglio morire che non fare la CED…”.
All’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, a Strasburgo, Schumann parlava addirittura di come l’esercito europeo avrebbe dovuto essere formato, del reclutamento, dell’armamento, del bilancio. Però, non se ne fece niente, anche perché vennero ottanta anni di pace e l’ombrello atlantico sempre aperto.
Poi, all’improvviso il fantasma di una terza guerra mondiale. E non solo “a pezzi”.
Foto di Andrea Lombani