Potrebbe esserci lui, il gabbiano reale, ad aspettare, sulla riva del fiume, il ritorno in città di quelli che, grazie ad Elon Musk, saranno andati a ricambiarela visita di Kunt, il marziano di Ennio Flaiano, che planò nel prato del Galoppatoio di villa Borghese il 12 ottobre.
A primo impatto i romani avevano pensato che “non era la fine del mondo, ma il principio”. Kunt fu ricevuto dal sindaco e dal papa. La sua prima foto fu venduta per tre milioni di allora. A via Veneto spopolava. La gente impazziva per lui e in meno di due mesi aveva pure ricevuto duecentomila lettere. I fotografi lo immortalavano dappertutto, anche mentre mangiava gli spaghetti.
Poi, però, come tutte le cose di una città a tutto abituata, anche il marziano non fece più notizia e diventò routine di quel tutto. Mario Pannunzio, direttore de Il Mondo, già il 28 novembre diceva basta alle sue foto. Re Faruk, da Doney, fingeva di non vederlo. Perfino le passeggiatrici gli giravano alla larga. I cineoperatori che prima lo braccavano, quando andò a Ciampino dove arrivava una celebrità del cinema gli gridavano: “A Marzià, te scanzi?” Per non farsi guastare l’inquadratura
A Natale, ai tavoli della Dolce vita, era ormai solo una comparsa e, quando la notte della Befana un gruppo di giovinastri lo subissò di fischi ed altri rumori, allungò il passo verso Villa Borghese deciso a tornare su Marte. Semprechè fosse ancora lì l’astronave con cui era arrivato, ma che gli albergatori gli avevano pignorato.
Se, dunque, Musk promette che tra cinque anni organizzerà una linea diretta per il pianeta rosso, i precedenti del marziano a Roma non garantiscono la migliore delle accoglienze.
Fantascienza a parte, lui dice sul serio e, come Cyrano di Bergerac nella commedia di Rostand, ripete forse a se stesso: ” Lavorare senza preoccuparsi, per quel viaggio tanto pensato sulla Luna” e si sentirà un po’ il Dante Alighieri che mandava i suoi personaggi, contemporanei compresi, nell’Empireo. Evasione, utopia, o è il caso di cominciare a prenotare?
Ray Bradbury, lo sceneggiatore del Moby Dick di John Huston, che scrisse Cronache Marziane e Fahrenheit 451, due classici della fantascienza, si diceva convinto che “colonizzeremo Marte e entro i prossimi cinquecento anni vivremo su pianeti distanti cinque, sei, sette e otto anni luce”.
Nello spazio, il calendario gregoriano non funziona e gli anni non sono di 365 giorni. Sulla Terra, perché la vita nascesse, ci son voluti miliardi di anni e, seppure nella Bibbia si parla della “Terra da dominare”, Copernico, Keplero e Galilei dimostrarono che non siamo il centro dell’universo, ma l’isola di una galassia circondata da un oceano sconfinato. Perché dunque non potrebbero esserci o siano in corso di produzione altre specie, altri tipi di vita? Oppure, condizioni nelle quali quella terrestre possa essere ospitata? Su Marte, su Giove o altro?
Musk ha calendarizzato i viaggi. Staremo a vedere.
Intanto – e con ogni buona aspettativa per i tours spaziali– c’è ancora tanto da scoprire qui da noi. Dai poli coperti di ghiaccio che si scioglie ai deserti di sabbia. Che cosa contengono?
Trump, politico mercantilista, attento ai voli di Musk ma con i piedi ben fissati su questa terra, si porta avanti col lavoro e pensa alla Groenlandia e a sottosuoli inesplorati. Intanto, lascia fare e aspetta. Non si sa mai.
Un po’, come quel gabbiano sul Lungotevere. Prima o poi, sull’acqua che come la storia scorre, qualcosa passerà e lui con il suo verso che pare una gran risata griderà:”A Marzià, te scansi che devo volà?!”