C’è una sostanziale differenza tra un ente inutile e una realtà dannosa.
Il primo (l’ente inutile) costituisce un onere che i contribuenti non meritano di sopportare, ma che permette di piazzare amici, parenti o altri personaggi e costituisce lo sbocco di certe prerogative cui il mondo politico non riesce proprio a rinunciare.
La seconda (la realtà dannosa) talvolta è caratterizzata da una genesi autonoma ed è frutto di erronee considerazioni o di una mancata valutazione d’impatto, talaltra è inattesa evoluzione di un ente inutile. In questo caso la “velenosità” è l’imprevedibile reazione chimica del miscelare gente poco capace ad una micidiale dose di “volenterosità”.
Negli “enti inutili” il granitico immobilismo dei suoi protagonisti scatena solo uno sdegno contenuto. L’improvvisa e talora premeditata velleità di fare e dimostrare qualcosa a tutti i costi si traduce in iniziative maldestre e innesca conseguenze apocalittiche.
Questa premessa filosofica condiziona chi scrive e poi chi legge e, non incontrando necessariamente un consenso unanime, rimane qui solo perché ho voluto perdere qualche minuto a scriverla.
Un recente episodio ha indotto certe immancabili malelingue ad avvicinare irrispettosamente l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale al novero delle Istituzioni che potrebbero essere migliorate, quantitativamente con l’acquisizione di risorse qualificate almeno come quelle già arruolate, qualitativamente con il reclutamento di specifiche competenze che l’ACN non ha ancora avuto modo di reperire o di esprimere.
Il fatto (e pure il Fatto Quotidiano che lo ha portato alla ribalta) poggia su due elementi: la presenza online delle utenze riservatissime del Presidente Mattarella e di tutto il Gotha italiano e la segnalazione del problema che – invece di essere presa in considerazione – è stata solennemente spernacchiata dalla Agenzia Cyber. L’innesco della penosa vicenda lo si trova online e, a scanso di equivoci, qui su Giano News c’è il collegamento alla pagina del social professionale Linkedin.
La storia rasenta il patetico e chi avrebbe dovuto occuparsene ha dichiarato e fatto dichiarare che non si tratta di un problema di cybersecurity.
Potrebbe esser l’occasione per spiegare a chi non ha fatto il liceo classico il significato del termine “Kyber” (si pedoni la traslitterazione) e far capire che non ha nulla di esclusivamente informatico ma vuol dire timone, guida e cose simili…
La sicurezza cibernetica dovrebbe essere quella che garantisce i processi decisionali (spesso attuati con l’ausilio di macchine e archivi elettronici) e quindi include uno scenario più vasto di quello preso in considerazione da chi si occupa di queste faccende senza conoscerne a fondo le radici e forse non avendo sufficientemente chiare le relative dinamiche.
La circostanza doveva innescare preoccupazioni e non grasse risate. Ancor prima di domandarsi come fossero finite in Rete, c’era da chiedersi dove fossero state pescate quelle informazioni.
La risposta è banale. Sono state prese da uno o più telefoni che quei dati li avevano in rubrica e che – scaricando le “app” più diverse – hanno autorizzato l’accesso alle risorse dello smartphone e inconsciamente l’estrazione del relativo contenuto.
Il problema è solo questo. Una questione di educazione alla sicurezza e di sensibilizzazione al rischio che si estende a macchia d’olio su mille attività quotidiane di ciascuno di noi.
Se chi dovrebbe impegnarsi a seminare e concimare la specifica cultura non riesce, non sa fare o semplicemente non fa questo mestiere ma preferisce cimentarsi in altre iniziative, speriamo che basti incrociare le dita per scongiurare qualche incidente tecnologico prossimo a metterci in ginocchio.
Finchè le nomine saranno politiche e – soprattutto – fino a quando chi sbaglia e chi ce lo ha messo non verranno “passati per le armi”, solo la buona sorte può tutelarci…