In queste ultime settimane gli aspetti internazionali, in tutto il mondo, hanno prevalso su ogni genere di altre notizie. L’economia, con i dazi imposti, poi parzialmente ritirati dall’ondivaga amministrazione Trump, ha fagocitato gli interessi dei cittadini ovunque. Le stesse guerre in Ucraina e nella striscia di Gaza (a parte brutali stragi) sono scivolate in secondo piano nei telegiornali e nella carta stampata. Nel pieno rispetto del panico che si è diffuso non possiamo esimerci dal rammentare che tristi caratteristiche diffuse nel nostro Paese non si sono fermate per il timore dei dazi.
Le problematiche sarebbero molte ma qui vorremmo limitarci a tre che non citeremo in ordine di importanza ma in ordine alfabetico.
Primo tragico aspetto sono i femminicidi. Nonostante le pressanti campagne pubblicitarie tese a portare all’attenzione di tutti questi efferati delitti, interventi a livello culturale, manifestazioni a livello locale e nazionale, programmi dove intervengono criminologi, psichiatri ed altre figure, non pare che si riscontrino risultati apprezzabili. Le mani che uccidono sono, quasi esclusivamente, da ricercare tra gli affetti vicini, o che sono stati vicini, che avrebbero dovuto proteggere la vita di figli, i ricordi di parenti ed amici, tutelare un passato comune. Uccidendo la madre dei propri figli si uccide una parte di loro e di tutti. Le cause di tanta violenza e insensata volontà omicida risiedono in tanti aspetti di un io malato che confonde affetto con possesso, amore con violenza e quant’altro criminologi e psichiatri elencano e spiegano sempre. I femminicidi sono troppi, anche uno sarebbe troppo, ma dilagano senza un freno. Il timore delle condanne, purtroppo, non è un deterrente. Il desiderio di possesso e la violenza prevalgono sulla razionalità e sul senso di umanità. Taluni concludono il femminicidio con il suicidio ma che senso ha? Ogni spiegazione scientifica non allevia il dolore, i lutti, la disperazione di familiari e amici ma soprattutto segna per sempre i figli delle donne barbaramente uccise. Tutte le donne debbono comprendere che precauzione e diffidenza verso persone che sono state violente, o si sospettano tali, possono essere di ausilio per evitare la morte. L’ultimo chiarimento può essere fatale. Spesso funesti sono gli incontri con persone conosciute sui social; possono oscillare tra la violenza carnale ed il femminicidio.
Altro fenomeno che non ci abbandona, a ritmi quasi quotidiani, sono le morti sul lavoro. I dati che conosciamo, probabilmente, non sono del tutto veritieri. Non è escluso che tanti clandestini, lavoratori al nero in tanti siti, non compaiano nelle statistiche. Chi li conosce? Chi reclama i loro corpi? Gli altri lavoratori sfruttati, forse è meglio definirli schiavi, per timore di ritorsioni, per non perdere un minimo di compenso, per paura fisica rimangono omertosi e tacciono.
A parte questo “non tracciabile” le morti sul lavoro hanno numeri impressionanti per un Paese civile. Non si applicano le prescritte regole di sicurezza sul lavoro ed i controlli sono carenti o sporadici o annunciati in modo che qualcosa si metta posto ed i lavoratori al nero scompaiano. Talvolta anche leggerezze o troppa sicurezza possono essere mortali. L’articolo 1 della Costituzione sancisce che “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e non sulle morti nei luoghi di lavoro. Si va al lavoro per un compenso ed una vita dignitosa per sé e la propria famiglia, non per morire. Nel terzo millennio è inaccettabile senza se e senza ma. La perenne scusa dei costi è insensata. La vita dell’uomo non può essere ricondotta al risparmio sulla sicurezza.
Il terzo aspetto del quale si vuol evidenziare la gravità è quello di suicidi nelle carceri. Anche qui i numeri sono particolarmente scoraggianti. Il sovraffollamento, la qualità della vita negli Istituti e tanto altro conduce ad un incremento costante dei suicidi. Le carceri, che hanno di per sé stesse spazi ristretti, con il sovraffollamento rendono impossibile la vita. Sicuramente il detenuto deve scontare una pena commisurata al reato commesso ma la restrizione della libertà ha dei limiti ben indicati dall’articolo 27 della Costituzione il quale, tra l’altro, afferma: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Le soluzioni non sono facili ma, essendo molteplici, qualcosa nel breve periodo si potrebbe fare e dare inizio a quelle di lungo respiro le quali se non si avviano non avranno mai fine.
Anche gli operatori di Polizia Penitenziaria sono sottoposti a stress costante per i ritmi di lavoro e l’insufficienza degli organici. Anche tra di loro non sono pochi i suicidi, troppi. Qualcosa non funziona in generale se detenuto e Polizia Penitenziaria sono ambedue afflitti dal fenomeno suicidario.