Ammonterebbe a oltre 26 mila il numero di domande di iscrizione al bando per l’abilitazione a Guida Turistica, pubblicato lo scorso 20 gennaio. Come spiegare un numero così elevato?
A ben vedere l’impressionante cifra ha a dir poco entusiasmato il Ministero del Turismo, come se fosse un vanto che migliaia di persone si avventino sull’abilitazione necessaria a inserirsi nella fetta di mercato apparentemente più succulenta di questi tempi. Tuttavia, ci sono tutti i presupposti per considerarla una sconfitta, tanto del sistema educativo italiano, quanto delle politiche del lavoro.
Nei dieci anni intercorsi dall’ultimo bando pubblicato, il numero di laureati in tutte le discipline ammesse al concorso è esponenzialmente cresciuto. La cifra totale delle domande pervenute, infatti, non fa riferimento – come si potrebbe pensare – ai soli laureati in discipline umanistiche.
Potenzialmente, tutti i laureati, di ogni possibile facoltà – dalle Scienze Politiche a Medicina, da Economia a Storia dell’arte – possono accedere al concorso, dal momento che il titolo richiesto è il Diploma di scuola superiore. Tale circostanza, quindi, induce a riflettere su quale sia la considerazione del mestiere stesso della Guida Turistica: più che pensare alla persona più formata per raccontare la storia e la cultura d’Italia, ci si figura chi sappia barcamenarsi tra nozioncine e luoghi comuni.
Emergono palesi elementi critici.
Il primo: un numero esagerato di domande ha raggiunto – per non dire intasato – la casella PEC del Ministero del Turismo, complice anche l’altrettanto esagerato lasso di tempo trascorso dall’ultimo concorso bandito. Questo significa mettere in moto una pesantissima macchina concorsuale, imporre tempi dilatati e prove d’esame dalla durata estenuante.
Il secondo: il livello di istruzione e preparazione delle potenziali Guide Turistiche al momento in cui accedono al bando è estremamente variabile. Se il titolo di accesso è il diploma, la preparazione potrà variare dalla formazione di base offerta dai cinque anni di Liceo/Istituto tecnico, fino al Dottorato di Ricerca, e oltre. A partecipare al bando, quindi, è un gruppo eterogeneo, per età e formazione, di potenziali futuri narratori del patrimonio culturale del nostro paese.
Il terzo punto di riflessione riguarda, quindi, il senso di schierare sulla linea di partenza, senza alcuna distinzione, laureati e dottori di ricerca in Scienze Umanistiche, accanto a diplomati e laureati in altre discipline, e forse anche professionisti vari di ogni ambito che ancora non abbiano trovato un impiego stabile e che quindi vogliano tentare questa possibile carta.
Possiamo davvero dirci convinti che un percorso universitario di cinque anni nelle discipline umanistiche vada equiparato a qualsiasi altro percorso formativo e che, quindi, possano tutti, indistintamente, svolgere con le dovute competenze il mestiere di Guida Turistica? Le risposte a questa domanda sono di norma due: certo, è il concorso ad abilitare, ossia a rendere adeguatamente preparati; certo, ci si prepara sul manuale per colmare eventuali lacune.
Il manuale in oggetto è un tomo di circa 700 pagine nel quale sono condensate, a livello di sussidiario, tutta la storia d’Italia divisa per argomenti: storia, geografia, storia dell’arte, archeologia, disciplina dei Beni Culturali e del Paesaggio e diritto del turismo, accessibilità e inclusività dell’offerta turistica.
Al termine della lettura il livello di conoscenza e comprensione della storia d’Italia sarà pressoché nullo e acritico e, senza alcun dubbio, al momento di svolgere una visita guidata, sarebbe in ogni caso necessario prendere i libri, quelli veri, per prepare un itinerario culturale scientificamente fondato. Insomma, illudersi che un manuale, condensato come quello sul quale di pretende di studiare, possa fornire la preparazione adeguata a conoscere e a saper raccontare l’immenso patrimonio culturale italiano è quanto meno ridicolo.
E si passa quindi al punto successivo: per quale ragione non si è ancora pensato di riconoscere ai laureati e ai dottori di ricerca in Scienze Umanistiche il lungo percorso di studi già fatto, rilasciando su richiesta una licenza per svolgere attività culturali a pagamento, eventualmente adeguando – tramite esame – la parte relativa alla normativa giuridica?
In Francia, già è prassi. In Italia, la Riforma Bersani aveva aperto una riflessione in tal senso e non pochi laureati del settore avevano così ottenuto la licenza. È stato l’unico momento della storia del mestiere di Guida Turistica nel quale i laureati (e oltre) del settore umanistico siano stati riconosciuti professionalmente e messi nella condizione di poter mettere a frutto i propri sacrifici e il proprio investimento economico nella formazione specifica, che di fatto costituisce un bagaglio culturale che non si potrà certo costruire in pochi mesi di studio matto e disperato, per giunta su un manuale più risicato di un Bignami.
I tempi sono ben maturi per riconoscere la qualità e la dignità della formazione nelle discipline umanistiche, riconoscendo ai laureati, ai Dottori di Ricerca e ai liberi ricercatori di poter eventualmente esercitare il mestiere di divulgatori del patrimonio culturale, conferendo loro una licenza su richiesta.
Non sarà certo meno disdicevole che mettere in piazza una masnada di Guide abilitate sulla base di un manuale da 700 pagine imparato a memoria in pochi mesi. Sarebbe non solo un atto dovuto, ma un sincero e necessario riconoscimento professionale ai tanti giovani che attendono ancora di trovare una collocazione lavorativa adeguata e soddisfacente.
E l’Italia, di appassionati archeologi e storici dell’arte che possano vivere della propria passione, costruita in anni di studio e opportunamente regolamentata, ne ha un gran bisogno.