Che Pasqua sarebbe stata senza gli auguri del papa fatti di persona in piazza San Pietro dalla Loggia delle Benedizioni? Una tradizione e non solo per i suoi seguaci. Infatti, il messaggio è sempre di pace e i belligeranti in giro per il mondo sono anche, ma non solo, cattolici.
Quindi, Francesco c’è stato. Ha benedetto e per il resto ha delegato.
La lettura del messaggio all’arcivescovo Diego Ravelli che regola le sue cerimonie pubbliche. La messa in San Pietro al cardinale Angelo Comastri: un ritorno per il prelato, sostituito quattro anni fa nel ruolo di Arciprete e quindi amministratore della Basilica da un frate ingegnere e pure manager.
A quel che si dice in Vaticano – un giornale molto addentro alle sacrestie, Silere non possum, lo ha scritto – pare, infatti, che Francesco allora non lo gradisse molto. Ora, invece, lo ha incaricato della rappresentanza ufficiale nella più solenne delle cerimonie e c’è chi trova la spiegazione nella “misericordia” che ispira l’attuale pontificato. Chi, invece, nel carattere un pò ”umorale” di Francesco, secondo quanto raccolto e riportato da Massimo Franco nel suo “L’enigma Bergoglio”.
La piazza, però, non può che essere tutta e solo del papa, il quale, lì, proclama i santi e invia messaggi al mondo nella memoria della Resurrezione.
Non a caso Paolo VI scelse proprio la Pasqua del 1967 per promulgare la Populorum progressio, la storica enciclica sulla “questione sociale che ha acquistato dimensione mondiale”, su chi deve essere affrancato dalla miseria, ha diritto ad “avere di più ed è invece condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio”.
In quella Pasqua, il papa del Jamais plus la guerre gridato di fronte all’Assemblea dell’ONU richiamava l’urgenza di una risposta per “i popoli della fame che interpellano in maniera drammatica i popoli dell’opulenza”.
Notava pure che “la legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali” e, pur escludendo di voler prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza, chiedeva, in considerazione delle disuguaglianze di popoli, categorie e persone, di “mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale, e dunque umano”.
Quasi sessant’anni dopo, il mercato mondiale non è diventato “umano”; alla Casa Bianca – e non solo – si maneggiano dazi che non eliminano certo le disuguaglianze; il vice Presidente cattolico degli Stati Uniti passa la Pasqua a Roma, accolto pure in Vaticano e la visione della folla in piazza San Pietro ha portato a Francesco il “conforto” che – racconta Andrea Tornielli – portava a Paolo VI.
Quali sentimenti, infatti, può provare un papa di fronte alle migliaia di persone accolte dal colonnato del Bernini e inginocchiate davanti a lui, pontefice ma pur sempre uomo?
Giovanni XXIII li ha descritti nel proprio diario.
Anno 1961: “Pasqua solenne. La gran messa pontificale riuscita benissimo. Basilica piena di gente devota e pia. Il discorso dalla Loggia riuscì più che non mi aspettassi. La piazza, un vero mare di teste, maestà di popolo. A me basta la convinzione della mia insignificante persona”.
Nel 1963, due mesi prima di morire: “affettuosa sollecitudine ai lavoratori dell’officina e della miniera, dei campi e delle fabbriche. Ai sofferenti…Piazza San Pietro semplicemente trionfale, gli auguri in 27 lingue, un visibilio, una diffusione di pace e di gioia trionfante…”.
Poteva Francesco rinunciare a queste emozioni?